§ 29.
182. Ciò che mi resta, in terzo luogo,1 è rispondere a chi si sente offeso dal gran numero delle tesi che ho proposto, come se questo peso gravasse sulle loro spalle e non fossi piuttosto solo io a dover sopportare questa fatica, per quanto grande essa sia.
183. C'è vera insolenza e troppo puntiglio nel voler porre un limite all'operosità degli altri e, come dice Cicerone, esigere la mediocrità in ciò che tanto più è bello quanto più è grande.2
184. Dinanzi a un'impresa così rischiosa, era senz'altro necessario o che fossi sconfitto o che avessi successo; in caso di successo non vedo perché quello che è encomiabile compiere in dieci questioni venga giudicato colpevole se compiuto in novecento.
185. Se poi fossi sconfitto, essi avranno di che accusarmi, se mi odiano, o di che scusarmi, se mi amano.
186. Infatti, che sia stato un giovane, per debolezza d'ingegno e scarsa dottrina, a soccombere in un'impresa così importante e così grande, sarà un fatto degno di perdono piuttosto che di accusa.
187. E anzi, come dice il poeta,
se mancheran le forze, lode certo
vi sarà per l'ardire; in grandi imprese già l'aver voluto è sufficiente.3
188. Infatti, se è vero che molti ai nostri giorni, imitando Gorgia da Leontini,4 usano proporre, non senza essere approvati, la discussione non solo di novecento questioni, ma addirittura di tutte le questioni di tutte le arti,5 perché non deve essere permesso a me, e senza biasimo, discutere di questioni numerose certo, ma almeno precise e determinate?
§ 30
189. Ma costoro dicono che questa è impresa superflua e ambiziosa.
190. Io invece sostengo di non averla compiuta come cosa superflua, ma per necessità, perché loro stessi, se considerassero con me le ragioni del filosofare, dovrebbero ammettere anche controvoglia che è cosa assolutamente necessaria.
191. Infatti, quelli che si sono accodati a una qualunque scuola filosofica, schierandosi per esempio a favore di Tommaso6 o di Scoto,7 gli autori che ora si trovano nelle mani dei più, loro sì possono mettere a repentaglio la loro dottrina anche in una discussione di poche questioni.
192. Io invece mi sono proposto, senza giurare sulla parola di nessuno,8 di diffondermi su tutti i maestri della filosofia, di esaminare ogni pagina, di conoscere tutte le scuole.9
193. Perciò, dovendo io parlare di tutti i filosofi, per non sembrare legato ad una dottrina particolare qualora avessi, come ne fossi il difensore, trascurato le altre, non potevano non essere moltissime le questioni che si riferivano nell'insieme a tutti quanti, anche se per ciascuno di loro ne fossero state proposte solo poche.10
194. E non mi si rimproveri che «dovunque mi portano le circostanze, mi lascio portare come ospite».11
195. Infatti, il principio per cui chi studia ogni genere di scrittori non manchi di leggere tutte le opere che può, fu osservato da tutti gli antichi e soprattutto da Aristotele, che per questa ragione fu chiamato da Platone [anagnostes] , ossia lettore,12 ed è davvero segno di chiusura mentale confinarsi all'interno di una sola scuola, sia essa il Portico13 o l'Accademia.14
196. E non può scegliere la propria scuola fra tutte quante senza sbagliare, chi non le abbia prima conosciute tutte da vicino.15
197. Per di più in ciascuna scuola c'è qualche cosa di peculiare, che essa non ha in comune con le altre.
§ 31.
198. E ora, per cominciare dai nostri,16 ai quali è giunta da ultimo la filosofia, in Giovanni Scoto troviamo una vigorosa dialettica,17 in Tommaso un solido equilibrio,18 in Egidio19 una nitida precisione, in Francesco20 una penetrante acutezza, in Alberto21 un'ampiezza maestosa e antica, in Enrico,22 per quel che mi è parso, una costante e veneranda elevatezza.
199. Tra gli Arabi,23 in Averroè24 troviamo una fermezza incrollabile, in Avempace25 e in al-Farabi26 una ponderata riflessione, in Avicenna27 una divina sublimità platonica.
200. Tra i Greci28 la filosofia è limpida in generale e casta in particolare; è ricca e copiosa in Simplicio,29 elegante e compendiosa in Temistio,30 coerente e dotta in Alessandro,31 profonda ed elaborata in Teofrasto,32 scorrevole e aggraziata in Ammonio.33
201. Se ci volgiamo poi ai platonici,34 per ricordarne pochi soltanto, in Porfirio35 piacerà l'abbondanza degli argomenti e la complessa religiosità, in Giamblico36 si venereranno i misteri dei barbari e la filosofia più segreta, in Plotino37 non c'è nessuna cosa che si ammiri particolarmente, perché si fa ammirare dovunque, egli che è inteso appena e con fatica dai platonici per come parla, con linguaggio sapientemente allusivo, in modo divino delle cose divine, e delle cose umane in modo molto superiore all'umano .
202. Non mi occupo dei più recenti: Proclo,38 col lussureggiare della sua esuberanza asiatica, e tutti quelli che gli hanno fatto seguito, Ermia,39 Damascio,40 Olimpiodoro41 e molti altri, nei quali rifulge sempre quel [to Theion] , ossia quel che di divino che è caratteristica peculiare dei platonici.
§ 32.
203. Si aggiunga poi che se c'è una scuola che combatte i principi più veri e che dileggia calunniosamente le buone ragioni dell'ingegno, essa non indebolisce, ma rafforza la verità e nemmeno la spegne, ma la ravviva come una fiamma scossa dal movimento.42
204. Per questo motivo ho voluto presentare le opinioni non di una sola dottrina, come sarebbe piaciuto a qualcuno, ma di tutte quante, in modo che dal confronto di più scuole e dalla discussione di diverse filosofie risplendesse più chiaramente nell'animo nostro, come sole nascente dall'alto, quel «fulgore della verità» di cui parla Platone nelle sue lettere.43
205. A che cosa sarebbe servito trattare soltanto la filosofia dei latini, cioè quella di Alberto, di Tommaso, di Scoto, di Egidio, di Francesco, di Enrico, trascurando i greci e gli arabi?
206. Proprio quando tutta la sapienza è passata dai barbari ai greci e dai greci a noi?44
207. Per questo i nostri pensatori hanno sempre creduto che a proposito di filosofia bastasse loro attenersi alle scoperte degli altri e coltivare le dottrine altrui.45
208. A che cosa sarebbe servito discutere con i peripatetici di cose naturali senza chiamare in causa anche l'Accademia dei platonici, la cui dottrina anche sulle cose divine fu sempre ritenuta, come testimonia Agostino,46 la più santa fra tutte le filosofie e che ora, per quanto ne so, sono io il primo dopo molti secoli, e sia detto senza voler suscitare alcuna gelosia, a mettere alla prova di una discussione pubblica?
209. A che cosa sarebbe servito trattare, tante quant'erano, le opinioni degli altri, se, accedendo al convito dei sapienti come chi non rechi la sua parte,47 non avessi portato nulla di mio, nulla che non fosse elaborato e prodotto dal mio ingegno?48
210. E' davvero poco dignitoso, come dice Seneca,49 conoscere solo attraverso i libri e, come se le scoperte dei predecessori avessero precluso la via alla nostra ricerca, come se in noi si fosse esaurito il vigore naturale, non trarre da noi stessi nulla che, se non dimostra la verità, almeno la indichi sia pur lontanamente.
211. Infatti, se il contadino odia la sterilità nel campo e il marito nella moglie, sicuramente la mente divina odierà tanto più l'anima infeconda che gli è congiunta e associata, quanto di gran lunga più nobile è il frutto che si attende da lei.
§ 33.
212. Perciò io, non contento di avere aggiunto, oltre alle dottrine comuni, molte cose tratte dall'antichissima teologia di Ermete Trismegisto,50 molte altre ricavate dagli insegnamenti dei Caldei51 e di Pitagora52 e molte altre ancora derivanti dai misteri più riposti degli ebrei,53 ho proposto alla discussione anche numerose scoperte e riflessioni soltanto mie,54 riguardanti le cose naturali e quelle divine.
§ 34.
213. In primo luogo ho proposto l'accordo tra Platone e Aristotele, a cui molti credevano già prima di me, ma che nessuno aveva sufficientemente dimostrato.55 Boezio, tra i latini, aveva promesso di farlo, ma non si trova che abbia mai fatto quello che sempre si propose di fare.56
214. Anche Simplicio, tra i greci, l'aveva detto, ma avesse mai mantenuto quello che aveva promesso!57
215. E Agostino58 scrive che tra gli accademici non erano pochi quelli che con le loro sottilissime argomentazioni avevano cercato di dimostrare la stessa cosa, ossia che la filosofia di Platone e di Aristotele è la stessa.
216. E Giovanni il Grammatico,59 pur affermando che Platone differisce da Aristotele solo per coloro che non capiscono quello che Platone dice, ha tuttavia lasciato ai posteri il compito di dimostrarlo.
217. Ho anche aggiunto numerose tesi in cui sostengo che talune affermazioni di Scoto e di Tommaso, giudicate discordanti, sono invece in accordo60 e numerose altre in cui sostengo la stessa cosa per affermazioni simili di Averroè e di Avicenna.61
§ 35.
218. In secondo luogo, chi comprenderà non solo le tesi che ho escogitato sulla filosofia aristotelica e su quella platonica,62 ma anche le settantadue tesi nuove63 che ho proposto in fisica e in metafisica – se non sono in errore, cosa che mi sarà chiara tra poco – potrà risolvere qualunque questione gli sia proposta su cose naturali e divine con principi affatto diversi da quelli che ci vengono insegnati dalla filosofia che si insegna nelle scuole ed è coltivata dai maestri del nostro tempo.
219. E, Padri, il fatto che io, nei miei primi anni, nella tenera età in cui come qualcuno pretende è appena permesso leggere le opere altrui, voglia introdurre una nuova filosofia,64 non deve indurre tanto alla meraviglia, quanto alla lode se essa è sostenibile, o alla condanna se essa è confutabile; e infine, chi giudicherà di queste mie scoperte e della mia cultura, dovrà contare, piuttosto che gli anni dell'autore, i meriti o i demeriti di quelle dottrine.
§ 36.
220. C'è poi, oltre a quella, un'altra maniera di filosofare per mezzo dei numeri che ho presentato come nuova, ma che in verità è antica anch'essa e fu seguita dai teologi prischi,65 da Pitagora in particolare, da Aglaofemo,66 da Filolao,67 da Platone e dai primi platonici.68
221. Ma oggi, come altre teorie illustri, è caduta talmente in disuso per l'incuria dei posteri, che si stenta a trovarne qualche traccia.
222. Nell'Epinomide,69 Platone scrive che fra tutte le arti liberali e le scienze contemplative quella principale e massimamente divina è la scienza del numerare.
223. E domandandosi perché l'uomo sia il più sapiente di tutti gli animali, risponde: «perché sa numerare».70
224. Anche Aristotele cita questa massima nei Problemi.71
225. Abumasar72 scrive che questo detto, «colui che sa numerare conosce ogni cosa», era del babilonese Avenzoar.73
226. Ma queste cose non potrebbero essere assolutamente vere se per arte del numerare essi avessero inteso quella in cui oggi sono abilissimi soprattutto i mercanti; anche Platone lo conferma,74 quando ci ammonisce apertamente a non credere che questa aritmetica divina sia l'aritmetica che usano i mercanti.
227. Siccome, dopo lunghi studi a lume di lucerna, mi sembra di avere esaminato a fondo quell'aritmetica che viene celebrata in tale maniera, per metterla in discussione mi sono impegnato a rispondere pubblicamente secondo la scienza dei numeri a settantaquattro questioni75 che sono considerate le più importanti tra quelle che riguardano le realtà fisiche e quelle divine.
§ 37.
228. Ho proposto anche teoremi di argomento magico,76 nei quali ho mostrato che ci sono due forme di magia; di queste, una dipende completamente dall'opera e dal volere dei demoni ed è, in fede mia, esecrabile e mostruosa.
229. L'altra, se la si esamina bene, non è nient'altro che la compiuta perfezione della filosofia naturale.
230. I Greci parlano di entrambe, ma chiamano la prima [goeteian], non degnandola nemmeno del nome di magia, mentre col nome proprio ed esclusivo di [mageian] designano l'altra, intesa come sapienza somma e perfetta.
231. Infatti, come dice Porfirio,77 in lingua persiana mago ha lo stesso significato che ha per noi interprete e cultore di cose divine.
232. Dunque è grande, anzi grandissima, o Padri, la disparità e la differenza78 tra queste due arti.
233. La prima è condannata e aborrita non solo dalla religione cristiana, ma anche da tutte le leggi e in ogni stato ben costituito.
234. La seconda è approvata e abbracciata da tutti i sapienti e da ogni popolo amante delle cose celesti e divine.
235. La prima è la più fraudolenta tra tutte le arti, la seconda è la filosofia più alta e più santa; la prima è sterile e vana, la seconda è salda, degna di fede e certa.79
236. La prima, chiunque l'ha praticata l'ha sempre nascosta, perché sarebbe stata vergognosa e insultante per il suo autore; dalla seconda, fin dall'antichità, tutti si sono sempre attesi grandissima celebrità e gloria negli studi.80
237. Della prima non si è mai occupato nessun filosofo e nessun uomo desideroso di apprendere arti benefiche; per imparare la seconda Pitagora, Empedocle,81 Democrito,82 Platone hanno attraversato il mare e al loro ritorno l'hanno insegnata e considerata come la più importante delle arti arcane.83
238. La prima non si fonda su nessun principio e non è approvata da nessun autore sicuro; la seconda, come se fosse nobilitata da genitori illustri, ha soprattutto due autori, Zalmoxide,84 imitato da Abari l’Iperboreo,85 e Zoroastro,86 non quello che forse si crede,87 ma il figlio di Oromasio.88
239. Se chiediamo a Platone che cosa sia la magia di tutti e due, risponderà, nell'Alcibiade, che la magia di Zoroastro non è altro che quella conoscenza delle cose divine che i re persiani insegnavano ai loro figli, perché imparassero a reggere l'ordine politico sul modello dell'ordine del mondo.89
240. E risponderà, nel Carmide,90 che la magia di Zalmoxide è la medicina dell'anima, ossia quella con cui si ottiene l'equilibrio dell'anima, così come con l'altra si ottiene la salute del corpo.
§ 38.
241. Seguirono poi le loro tracce Caronda,91 Damigeron,92 Apollonio,93 Ostane94 e Dardano.95
242. Le seguì anche Omero, che, come tutte le altre forme di sapienza, dissimulò anche questa sotto le peregrinazioni del suo Ulisse,96 come mostrerò un giorno in una mia Teologia poetica.97
243. Le seguirono Eudosso ed Ermippo.98
244. Le seguirono quasi tutti coloro che studiarono a fondo i misteri pitagorici e platonici.
245. Tra gli autori più recenti, poi, ne trovo tre che ne scoprirono le tracce, l'arabo al-Kindi,99 Ruggero Bacone100 e Guglielmo di Parigi.101
246. Anche Plotino102 la cita, là dove dimostra che il mago è il ministro e non l'artefice della natura; quell'uomo sapientissimo approva e giustifica questo genere di magia, mentre aborrisce l'altra a tal punto che, invitato a riti di demoni maligni, disse opportunamente che era meglio che essi andassero da lui, piuttosto che lui da loro.103
247. Infatti, come la prima magia rende l'uomo sottomesso e schiavo di potenze maligne, così la seconda lo rende loro signore e padrone.
248. La prima, insomma, non può rivendicare per sé né il nome di arte, né il nome di scienza; la seconda invece, piena di elevatissimi misteri, comprende la profondissima contemplazione delle cose più recondite fino alla conoscenza dell'intera realtà natutrale.
249. Essa, quasi richiamando in piena luce dai loro nascosti recessi le virtù sparse e disseminate nel mondo dall'opera benefica di Dio, non compie tanto i miracoli, ma piuttosto serve assiduamente la natura che li compie.
250. Essa, avendo esaminato intimamente con uno sguardo più penetrante quell'accordarsi di tutte le cose che i Greci con una parola più espressiva chiamano [sumpatheian]104 e avendo osservato la reciproca cognizione che le cose naturali hanno l'una dell'altra, rivolgendo a ciascuna di esse gli allettamenti connaturali e appropriati, quelli che sono chiamati [le iugges]105 dei maghi, fa venire alla luce, quasi ne fosse l'artefice, i miracoli che si nascondono nei recessi dell'universo, in grembo alla natura, e negli arcani anfratti divini; e come il contadino sposa gli olmi alle viti,106 così il mago marita la terra al cielo, ossia le realtà inferiori alle qualità e alle virtù di quelle superiori.
251. Ne consegue che quanto la prima magia si rivela mostruosa e nociva, tanto la seconda si rivela salutare e divina.
252. Soprattutto perché la prima, assoggettando l'uomo ai nemici di Dio, lo allontana da lui, mentre la seconda lo spinge a un'ammirazione tale delle opere di Dio, che per affinità ne seguono con assoluta certezza la carità, la fede e la speranza.
253. Nulla infatti induce alla religione e al culto di Dio quanto l'assidua contemplazione delle sue meraviglie; quindi, dopo averle ben esplorate con l'aiuto di quella magia naturale di cui stiamo parlando, incitati più ardentemente al culto e all'amore dell'artefice, saremo costretti a cantare: «pieni sono i cieli, piena è tutta la terra della maestà della tua gloria».107
254. Della magia ho parlato abbastanza e ne ho parlato perché so che sono molti quelli che, come i cani che abbaiano sempre contro gli sconosciuti, allo stesso modo spesso condannano e odiano quello che non comprendono.