1 Il termine «mistero» applicato alle dottrine mosaiche non è caratteristica peculiare di Pico: cfr. per esempio M. Ficino, In Phaedrum, in Opera, Basilea 1576, p. 1363: «Tum vero interea mirabile nota mysterium mosayco mysterio simile».

2 Sulla prisca theologia (concetto derivato forse da Gemisto Pletone) si veda innanzitutto M. Ficino, Argumentum preposto alla trad. del Pimander, in Opera, Basilea 1576, p. 1836: «C'è quindi una teologia degli antichi (prisca theologia) ... Che ha la sua origine in Mercurio e culmina nel divino Platone». Per una diversa catena aurea, che comincia con Zoroastro, vedi Theol. plat. 17, 1, in Opera, Basilea 1576, p. 386. Per le diverse genealogie vedi D. P. Walker, The Prisca Theologia in France, in «J.W.C.I.» 17 (1956) 204-59. In generale vedi Walker 1972. La fiducia di Pico nella prisca theologia si trasoformerà in delusione, per scomparire nelle Disputationes (cfr. Valcke 1989, 192, cit. in Bausi 1996, 110 n. 19).

3 Sulla dialettica come arte espiatoria cfr. Platone, Sofista 230c-d.

4 L'istituzione di un'analogia tra il percorso filosofico e spirituale e quello misterico - le cui prime fasi consistono in purificazione e iniziazione - è tipica del neoplatonismo, ma è già compiutamente presente in Platone, Fedone, 69c-d: «mentre la verità autentica non è se non una purificazione da tutte quelle cose, e la temperanza, la giustizia, la fortezza e la saggezza medesima non sono altro che una sorta di purificazione. E con ogni probabilità non furono uomini da poco coloro che istituirono per noi i misteri, ma hanno davvero rivelato per enigmi che colui il quale arriva all'Ade senza avere avuto parte ai misteri e senza essere stato iniziato, giacerà in mezzo al fango; invece, colui che si è purificato e si è iniziato, giungendo colà, abiterà con gli dèi. Infatti, gli interpreti dei misteri dicono che "i portatori di ferule sono molti, ma i Bacchi sono pochi". E costoro, a mio modo di vedere, altri non sono se non coloro che praticano rettamente la filosofia». Si è parlato (A.-J. Festugière) di sostituzione dei mystères cultuels con i mystères littéraires (cfr. A. Diès, Autour de Platon, Paris 1927). Su tutta la questione del "linguaggio dei misteri" in contesto platonico cfr. il capitolo introduttivo di Wind 1968.

5 Cfr. Platone, Simposio 210a e Plutarco, Iside e Osiride, 77 (382d).

6 Nei ¶¶ 115 - 119 Pico adatta alla sua tripartita philosophia la dottrina delle quattro manie divine (divini furores, nel linguaggio di Ficino e di Pico) presente in Platone, Fedro 265b: «Quanto alla follia (mania) divina, l'abbiamo divisa in quattro parti, riferite a quattro dèi: l'ispirazione divinatoria l'abbiamo attribuita ad Apollo, quella iniziatica a Dioniso, quella poetica poi alle Muse, e la quarta ad Afrodite e a Eros». Il passo viene utilizzato ampiamente da Ficino nelle pagine finali del suo Commentarium in Convivium Platonis, VII, 14 (Marcel p. 259): «Furor autem divinus est qui ad supera tollit, ut in eius definitione consistit. Quatur ergo divini furoris sunt speties. Primus quidem poeticus furor, alter mysterialis, tertius vaticinium, amatorius affectus est quartus. Est autem poesis a Musis, mysterium a Dionysio, vaticinium ab Apolline, amor a Venere». Sul divino furore cfr. anche la lettera di Ficino a Pellegrino Agli, in Opera (Basilea 1576), p. 613 sg. L'uso di furor come traduzione del greco mania è attestato in Cicerone (vedi nota al testo latino).

7 Sui rapporti tra Dioniso e Apollo, cui normalmente si riferisce l'appellativo di musagete, cfr. Plutarco, De E apud Delphos, 389b-c.

8 Filosofo accademico, maestro di Plutarco, è uno dei principali interlocutori del De E apud Delphos.

9 Nei ¶¶ 121-125 Pico ritrova lo schema tripartito nella successione dei tre precetti delfici. Tutto il brano è fortemente influenzato dalla lettura di Plutarco, De E apud Delphos (si vedano le note al testo latino).

10 Nei ¶¶ 126-129 Pico ritrova la tripartita philosophia nei "simboli" pitagorici. Su Pitagora nel Rinascimento vedi P. Casini, L'antica sapienza italica, Bologna 1998, cap. 2.

11 Cfr. Giamblico, De vita Pythagorica 8, 44.

12 Nei ¶¶ 136-143 Pico rintraccia la tripartita philosophia negli scritti dei Caldei. Ignoriamo quali fonti egli stesse consultando, sotto la guida di Flavio Mitridate (cfr. la lettera a Ficino dell'autunno 1486, in Supplementum Ficinianum, pp. 272-3: «Chaldaici hi libri sunt, si libri sunt et non thesauri: In primis Ezre, Zoroastris et Melchiar Mogorum oracula, in quibus et illa quoque, que apud Graecos mendosa et mutila circumferuntur, leguntur integra et absoluta. Tum est in illa Chaldeorum sapientum brevis quidem et salebrosa, sed plena misteriis interpretatio. Est itidem et libellus de dogmatis Chaldaice theologie cum Persarum, Grecorum et Chaldeorum in illa divina et locupletissima enarratione»). Che Pico avesse a disposizione dei testi scritti in una lingua che forse era un misto di aramaico e di ebraico, lo si ricava da alcuni frammenti (ad es. i nomi dei fiumi paradisiaci elencati qui sotto al ¶ 141, che, assenti nell'incunabolo, compaiono nel manoscrito Palatino, secondo Wirszubski, in caratteri etiopici e in lingua aramaico-ebraica). Potrebbe tuttavia trattarsi di falsi, forse confezionati da Flavio Mitridate (Farmer 1998, p. 13 e pp. 486-7). Questi testi, secondo Pico, sarebbero più completi delle compilazioni greche degli Oracoli caldaici (sulla cui fortuna nel Rinascimento vedi Dannenfeld 1960). Che gli Oracoli caldaici riportino sentenze di Zoroastro è opinione introdotta forse da Gemisto Pletone (Masai 1956, 136 sg.; cfr. anche T. Bidez - F. Cumont, Les Mages hellénisés, Paris 1938; J. Duchesne-Guillemin, The Western Response to Zoroaster, Oxford 1958, p. 4), seguito da Ficino nella sua Teologia platonica.

13 Sulla proibizione di rendere pubblico il contenuto dei misteri cfr. ad esempio Plotino, Enneadi VI, 9, 11: «È questo il significato della famosa prescrizione dei misteri, "non divulgare nulla ai non iniziati"».

14 Nei ¶¶ 148-9 Pico riespone lo schema tripartito servendosi dei nomi degli angeli più eminenti dell'angelologia tradizionale: Raffaele («Dio guarisce»), Gabriele («Dio è forte»), Michele («chi è come Dio?»). Per una possibile fonte (Gregorio Magno) vedi le note al testo latino. Sulla possibile connessione dei nomi degli angeli con la dottrina delle Sephirot (connessione che darebbe ragione dell'accenno ai «più reconditi misteri») cfr. F. Yates, The Occult Philosophy of the Elizabethan Age, London 1979, cap. 2). Raffaele compare come guaritore ad es. in Tobia 3, 25; 6 e 11, 8 sgg.