La novella tra Testo e Ipertesto: il Decameron come modello VII

VII. Per tornare, allora, all'aspetto architettonico del modello-antimodello decameroniano, è nell'opposizione strategica tra cornice e novelle che sembra giocarsi (come è stato dibattuto a lungo dalla critica) la dialettica tra ordine autoriale e libertà del Lettore, la sgangherabilità o non-sgangherabilità virtuale dell'Opera, necessariamente condizionando così anche il modello di ipertesto che andiamo a costruire. A questo proposito va dunque fatto di chiedersi se il piano (o blueprint ) architettonico dell'edificio decameroniano fornisca un disegno univoco di visualizzazione dinamica o lasci invece al lettore lo spazio di una decisione costruttiva. Risaliamo allora, tra le tante formulazioni a nostra disposizione, ad una definizione della critica, quella, illustre, di Auerbach, trascelta qui tra le molte possibili appunto perchè sembra porsi, tra l' altro, il problema cruciale del rapporto, cui si faceva cenno più sopra, tra forme narrative e quella che Auerbach definiva "forma sociale" e che noi potremmo forse ribattezzare "modello culturale" nella "edificazione" dell'opera:

La cornice del Decameron può essere compresa nel modo più semplice proprio a partire dal concetto di forma sociale. Così diventa anche evidente perchè Boccaccio lasci in penombra le caratteristiche dei narratori e le loro reciproche relazioni. Se queste fossero chiare, non più di cornice si tratterebbe, ma di racconto a sè stante; agli stessi partecipanti, del resto, esse debbono sembrare cangianti e misteriose; la brigata dei giovani eleganti vive del segreto e della confusione (40).

Non è precisamente questo velo, questo "segreto" (più che "confusione") che avvolge l'elemento strutturalmente portante dell'architettura decameroniana a consentire l'esplicarsi combinatorio (avrebbe forse detto Calvino) delle singole novelle e a dare così spazio virtuale ad una libera (ri)lettura individualizzata tanto delle novelle che, al limite, dell'opera nel suo complesso (41)? C'è, inoltre, un altro punto sollevato da Auerbach che ci pare, a questo proposito, rilevante (su di un altro livello): nella sua codificazione della novella, Boccaccio instaurerebbe il principio di una "pluralità delle immagini" (Auerbach usa qui ad illustrazione le novelle di Ciappelletto e Andreuccio), grazie alla quale si generano racconti dalle molteplici sfaccettature, conferendo all'intreccio e al "discorso" una funzione determinante rispetto alla fabula che pone tutti gli elementi in un rapporto gerarchico per così dire mono-figurale, in relazione ad un singolo evento monolitico. Questa "pluralità delle immagini", elemento secondo Auerbach centrale e non pre-esistente, dell'innovazione boccacciana, che libererebbe il genere della novella dalla "semplice immagine" esemplificata nell'aneddoto, l'exemplum, la predica e così via, della narrativa precedente (ripresa dopo di lui dai motti e le facezie di un Poggio o dallo stesso Sacchetti) può essere messa in rilievo solo attraverso una modellizzazione o visualizzazione ipertestuale che non insista univocamente sugli elementi strutturali dell'ordo autoriale, ma lasci, di nuovo, spazio al dispiegarsi di un "principio di indeterminazione", dipendente dalla sagacia e ingegno e "varianza" interpretativa di un lettore empirico, il quale (nella tensione con il Lettore Modello "prefigurato" nel testo) faccia così salvi anche quei margini di ambiguità"comunicativa" ed esuberanza semantica, altrimenti soggiogati o neutralizzati da una lettura talvolta troppo "professionale" (42).

Il modello comunicativo così embricato nell'opera schiuderebbe dunque la via ad una fruizione, se non del tutto "aperta", almeno polisemica. Se la simbologia del Libro-Universo, nella Commedia, si esplica al massimo grado nella visione-intuizione puntiforme e unitaria (una visione Autoriale, al confine dell'indicibile) di "ciò che per l'universo si squaderna" (Par. XXXIII, 87), essa sembra invece diffrangersi nel D. in una auto-rappresentazione del libro (della sua intima struttura o "impaginazione") non tanto come semplice, artificiale o anonimo (Novellino ) contenitore meccanico della molteplicità del mondo umano, aperto a una infinita molteplicità di possibili letture (e riletture), ma piuttosto "uno scheletro e un guscio tratti dalla natura", in cui strutture simmetriche fisse e simmetrie imperfette si armonizzano a vicenda, provocando un effetto simile a quello che si prova "davanti a certe forme vegetali o biologiche, una foglia o una conchiglia" (43). (Dove andrebbe forse sottolineato l'effetto illusionistico all'occhio umano di certe sorprendenti simmetrie "naturali").

E' ipotizzabile allora che anche il Lettore Modello del Decameron, in quanto lettore di finzioni narrative, in fabula sì , ma com-partecipe, coadiutore di un modello non univoco, secolarizzato di "comunicazione" letteraria, non possa non essere un lettore proditoriamente ambiguo, secondo l'inversione parodica operata dall'omaggio proemiale del "libro Galeotto" alle Donne melanconiche. Che il messaggio "didascalico" dell'enciclopedia narrativa decameroniana, di quel raffinato "manuale" performativo, di comportamento e interpretazione (sub specie ludica ) del Mondo narrato che il Decameron rimane per noi sia, parodicamente, anch'esso affidato alla libera scelta di una (sconosciuta) Lettrice futura (44)?

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